Montemonaco

Montemonaco si trova a 988 m. s.l.m. all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini che lo avvolgono.
Dalle vette del Massiccio del Vettore, a quelle dell’Argentella, Pizzo del Diavolo, Palazzo Borghese, Monte Porche.

Montemonaco deve il suo nome al fatto che alcuni monaci benedettini furono i primi colonizzatori di quelle zone montane.
Verso la fine del secolo XIII i piccoli feudatari dei vari centri rurali si costituirono in libero comune e scelsero come capoluogo un punto centrale, facile da difendere, chiamato fin da allora “monte del monaco”.

Le Mura

A difesa della loro libertà i montemonachesi costruirono le massicce mura castellane, intervallate da robusti ed ampi torrioni. In seguito la sua storia si fonde alla storia degli altri comuni dello Stato Pontificio fino all’Unità d’Italia.
È il capoluogo comunale posto a più alta quota della provincia, lungo l’asse spartiacque tra il Tesino e l’Aso; importante centro turistico e climatico, in estate ed in inverno.

Fondata dai monaci

Negli Statuti Municipali si legge infatti “Monacus illam fundavit” – L’ha fondata un monaco.

Montemonaco è annoverato fra le città che fecero parte sin dall’ inizio del Presidiato Farfense e viene nominato in un catasto dei possedimenti della celebre abbazia redatto alla fine del ‘900.

Verso la fine del X sec. quindi Montemonaco molto probabilmente esisteva e costituiva un aggregato di case dove sotto la guida spirituale e morale dei monaci vivevano suoi abitanti.
Al monaco rettore spettava il compito di mantenere la pace nella comunità risolvendo ogni questione privata tant’è che i suoi insegnamenti divennero norma di vita e furono codificati.

Secondo un documento dell’ Archivio del Buon Governo di Roma, Montemonaco come cittadella fortificata fu fondata nel XII sec. dalla famiglia Nobili di Montepassillo; una delle famiglie più ricche e potenti della Marca Meridionale proprietaria del castello di Montepassillo che era posto nei pressi di Comunanza.

Libero comune

Intorno alla metà del XIII sec. si costituì il libero comune di Montemonaco vincendo le resistenze dei feudatari proprietari dei sette castelli che secondo la tradizione esistevano a Montemonaco.

Secondo un altro documento dell’ Archivio del Buon Governo di Roma, Montemonaco acquistò ventitré castelli nei dintorni per dilatare il suo territorio comunale (1). Il Vescovo di Fermo in genere non si oppose mai alle pretese del Comune il quale si dichiarava sempre fedele al Papa continuando a corrispondere il censo annuo alla Santa Sede.

Le mura castellane che circondano interamente Montemonaco inglobando ampi spazi verdi sono intervallate da ampi e robusti torrioni ed interrotte solo da 3 porte: Porta S.Giorgio, Porta S.Biagio, Porta S.Lorenzo.

Tali mura furono edificate a partire dal XIII sec. grazie al lavoro di numerosi maestri lombardi attivi nell’area che secondo la tradizione raggiunsero queste zone dopo la distruzione di Milano da parte del Barbarossa nel 1162.

Durante tutta l’epoca del libero Comune vi furono continue lotte coi paesi confinanti: ArquataComunanzaMontefortino e Norcia.
Nel 1337 Montemonaco partecipò ad una incursione contro Montalto Marche saccheggiando gravemente quella terra insieme agli uomini di MontegalloArquata, ForceMontelparoRotella ma fu pronto a sottostare ai patti di pace conclusi grazie all’ intervento del Rettore della Marca, Corrado Sabelliano.

Norcia e il Castello di Rocca

Secondo la tradizione, in epoca molto remota, Norcia possedeva il castello di Rocca valico obbligato nel versante orientale dei Sibillini per l’ Umbria.
E quando Montemonaco diventò libero Comune assoggettò subito il castello di Rocca per proteggere i propri confini.

Molto probabilmente le relazioni tra i due Comuni si sono svolte in un continuo alternarsi di tregue e di discordie per tutto il XIV sec.; non a caso le fortificazioni di Montemonaco rivolte verso occidente sono molto possenti e alte.

La diffidenza dei montemonachesi verso Norcia è testimoniata anche dalla usanza codificata negli Statuti Municipali della armata di tutto il popolo in occasione della festa di S.Bartolomeo.

Il 17 Giugno del 1399 tra Norcia e Montemonaco furono stabilite norme precise sulla “strada imperiale” di Pizzo Borghese che tanto interessava i due paesi.

Nel 1405 Montemonaco aiutò Amandola e Montefortino contro l’esercito dei Varano signori di Camerino.
Anche se poi per ordine del Rettore della Marca questi ultimi dovettero sottomettersi alla signoria dei Varano, sembra comunque che fra le terre date a questi in vicaria non ci fosse Montemonaco.

Finita l’epoca delle signorie iniziò la fase più florida del libero comune.
Nella seconda metà del 400’ a Montemonaco vennero rifatti torrioni, ponti e mulini e nuovo impulso ricevettero le attività tradizionali come l’agricoltura e l’allevamento del bestiame che alimentarono nuovi commerci e traffici.

Dopo tale periodo di prosperità Montemonaco, a partire dalla metà del XVI sec., fu investito da una crisi politica e economica.
Dal 1530 il papato incrementò di continuo il carico tributario sulle comunità dello Stato della Chiesa.
Ciò consolidò l’autorità politica del pontificie all’interno del suo dominio temporale a scapito della autonomia dei liberi comuni ma a lungo andare provocò il ristagno delle attività economiche.

Nel 1592 Clemente VIII istituì la Congregazione del Buon Governo col compito di controllare ed approvare i bilanci preventivi delle comunità dello Stato Pontificio; cosicché controllando la gestione finanziaria del Comune di fatto lo controllava anche politicamente.

Chiesa di S. Benedetto

La facciata della Chiesa di San Benedetto, è adorna di un bel portale in pietra arenaria ricco di elementi decorativi con scolpita la data 1546, anno di rifacimento per via del degrado a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici.

Al suo interno, tipiche volte a crociera poggiano su enormi colonne di tufo.

A sinistra dell’altare, è conservata, in una nicchia, la reliquia del braccio di San Benedetto Abate, patrono del comune.

Sotto la nicchia, è posta una statua di terracotta del XV sec., raffigurante la Madonna che tiene sulle ginocchia il Cristo appena deposto dalla croce.

Sopra l’altare è appeso un bel crocifisso ligneo del 1400, di scuola marchigiana.

Infine, si può ammirare un affresco risalente al XV° sec. di autore sconosciuto, raffigurante Cristo crocifisso tra la Vergine e Santa Lucia.

Chiesa di S. Giorgio all’Isola

La Chiesa di San Giorgio si faccia sul lago di Gerosa è in stile romanico risalente al X° sec. appartenuta all’Abbazia di Farfa.
L’abate di Farfa Giovanni III, concesse a tre presbiteri, la Chiesa di S.Giorgio che però, non comunicava direttamente con l’Abbazia di Farfa bensì tramite il monastero di S.Vittoria in Matenano.

Al suo interno che attualmente consta di due navate, troviamo vari affreschi tutti risalenti al sec. XVI e attribuibili a Giacomo Agnelli di Patrignone, pittore minore della seconda metà del 1500 appartenente alla pittura popolare marchigiana.

Grande interesse artistico suscita la visione del BALDACCHINO esistente dietro l’altare, che reca visibile la data della sua costruzione: 1555. In esso vi troviamo rappresentate molte immagini votive tra cui emerge quella del Santo al quale è dedicata la chiesa: S. Giorgio.

La parte più bella e anche la più antica della chiesa è però il catino dell’abside nel quale troviamo raffigurate, nella calotta, la « Deésis» ovvero la « Grande Preghiera », nel tamburo, la teoria degli Apostoli.

Nella chiesa sono inoltre presenti due altari, opere dell’artigianato marchigiano del XIX secolo; uno è dedicato all’Immacolata, l’altro al Santissimo Crocifisso.
Nella parte antistante la chiesa vera e propria c’è anche un campanile, il quale, con molta probabilità, era anticamente un torrione avente scopo difensivo.

S. Maria in Casalicchio

S. Maria in Casalicchio, presso Tofe di Montemonaco, fu nell’antichità un Santuario di notevole richiamo religioso e meta di numerosi pellegrinaggi.
Di questa chiesa già parlava Bonifacio VIII in una lettera relativa alle decime straordinarie, il 4 dicembre 1299.

In essa nei secoli di mezzo si andava a sanzionare o legalizzare giuramenti.
Nella festa dell’assunta i quattro capitani del libero comune di Montemonaco dovevano condurre gli abitanti del proprio quartiere alla chiesa a pregare per conservare la Pace.

La chiesa in stile prevalentemente gotico ha subito nel corso dei secoli molti rifacimenti.

Nonostante la “povertà” della facciata, l’ interno della chiesa è ricco di affreschi.
Nella navata di destra un tempo era ben visibile il Cristo Pantocratore (tipica dell’arte bizantina) immerso in una mandorla sostenuta da Angeli, contornato ai lati dalla Madre in atteggiamento orante e da S.Giovanni.

Accanto si può notare la scena della Crocifissione con gli Angeli che raccolgono in calici il Sangue di Cristo; ai lati le croci con i ladroni e i soldati con armature medioevali.

Nella lunetta della parte di destra appare, anche se gravemente danneggiata da una finestrella aperta più tardi, la scena della “Dormitio Vìrginis“.
Al fondo della “Dormitio Virgints” vi e una segnatura che probabilmente indica il nome del committente e la datazione dell’ opera:
(JA)COP(I)NI TNOME
T. DOMINICI X
XIII IND. SE(P)TI(M)A

Al di sopra di essa vi é l’ immagine della Madonna sostenuta dal Cristo, che sale al Cielo.

Nei costoloni della volta, sono raffigurati gli Evangelisti colti nell’attimo della vita reale mentre aguzzano una penna d’oca, o asciugano lo stilo o si apprestano a scrivere; nei tondi della base sono raffigurati i Dottori della Chiesa.

A decorazione dell’altare di ci sono dei dipinti sul muro risalenti al 1600 e raffiguranti San Sebastiano e la Madonna.

Da secoli, ogni anno il 20 gennaio, in occasione della festa di San Sebastiano, tutta la popolazione e le autorità Municipali di Montemonaco, scendono in processione verso questo piccolo santuario per rinnovare l’antico voto a San Sebastiano che scongiurò la peste.
In questa occasione, da tempo immemorabile come è documentato negli archivi comunali, vengono offerti a tutti i pellegrini pane e vino cotto benedetti.
Non ci sono avversità o intemperie che tengano: in quel giorno tutti partecipano a quella che non è solo un’ istanza religiosa ma anche occasione di festa e motivo d’incontro.

Nel 1993 Monsignor Chiaretti. Vescovo di Montalto, ha elevato questa chiesa al rango di Santuario Mariano.

Chiesa di S. Lorenzo

La fondazione della Chiesa di San Lorenzo in Vallegrascia, risale alla seconda metà del XII secolo e il documento più antico che ne attesta l’esistenza è il testamento con cui Morico di Longino lasciò in legato questa chiesa al monastero farfense.

Dalla “Convenzione di spoglio” stipulata il 22 gennaio 1301 tra il Vescovo di Fermo ed il Pievano di sant’Angelo in Montespino, sappiamo che, da tempo immemorabile, faceva parte di quella Pievania: il diritto di nomina del suo rettore, fino a quel tempo era sempre stato esercitato, per privilegio, da detto Pievano di Montefortino e da quella data tornò al vescovo di Fermo.

L’interesse per questa Chiesa è stato notevolmente accresciuto dalla scoperta di due lastre di pietra istoriate, fatta negli anni trenta in seguito ad opere di restauro che hanno interessato la zona presbiterale.

L’edificio è in pietra arenaria, con un campanile coperto ad un unico spiovente.

Attualmente l’interno si presenta a navata unica, divisa in quattro campate.
Nella prima campata, a sinistra, vi è una piccola nicchia probabile sede del fonte battesimale in tempi remoti; al centro della parete destra è l’altra porta d’ingresso detta “porta del sole”.
La seconda campata non ha caratteristiche particolari, ma solo l’apertura di due finestre arcuate nelle opposte pareti con un’ampia strombatura verso l’esterno.
La terza campata ha, a sinistra, una riquadratura rettangolare ove si trovava la pala dell’altare ora demolito; sul lato destro è l’altare dedicato alla Madonna Immacolata, a forma di cappella con colonne, nicchia centrale e trabeazione in stile barocco.
La quarta campata forma la zona presbiteriale, sopraelevata di un gradino e, separata dal corpo della chiesa da una balaustra in ferro.

Qui si trovano due grosse lastre di arenaria scolpite, che anticamente fungevano da plutei, opera degli scultori Atto e Guidonio le cui opere si trovano anche nella chiesa di S. Maria in Comunanza.
La tecnica di lavorazione di queste lastre è il bassorilievo, il disegno è netto nei contorni, l’esecuzione ben limitata ed essenziale.

Dal piano della chiesa si può accedere alla cripta, posta a un livello inferiore ma delle stesse dimensioni della primitiva chiesa.
Ha un impianto quadrangolare, con coperture di volticine a crocera, eseguite con conci di pietra calcarea.
Colonne e semicolonne hanno capitelli istoriati ornati con sculture in altorilievo.

La cripta è in effetti una mini-chiesa con due navate laterali e una navata centrale, prolungata nell’area dell’abside semi-circolare ed illuminata da un’unica monofora a doppio strombo situata al centro dell’abside stessa.
A detta cripta si poteva anticamente accedere anche attraverso una porta, ora murata, sul lato meridionale.

Chiesa di San Giovanni Battista

La Chiesa di San Giovanni Battista, un tempo dedicata a S. Agostino, è stata fondata dagli Eremitani di San Agostino che qui stabilirono la loro sede sin dal 1373.
Quest’ultima fu poi soppressa da Innocenzo III nel 1652 insieme a tutti gli altri conventi d’Italia “poveri di sostanze e di individui”.

Sul lato sinistro della chiesa una lapide in caratteri gotici indica la data del 1391 come l’anno dei probabili restauri resi possibili dalla volontà di Giovanni Jacopi, un notabile di Montemonaco che qui ha lasciato le sue spoglie.

In questo piccolo ed elegante tempietto solo i nobili del paese potevano partecipare alle funzioni religiose e lasciarvi le loro spoglie.

Originariamente oltre l’altare maggiore vi erano t’altare dedicato a San Carlo Borromeo, quello della Beata Concezione e l’altare dedicato a San Francesco di Paola.
Attualmente vi è solo l’altare maggiore dove un tempo era sistemata l’artistica tela intitolata ” La Vergine del Soccorso” (1521) opera insigne del pittore Giulio Vergari di Amandola.
Un altro importante quadro collocato in questa chiesa è quello rappresentante l’Immacolata il cui committente fu il Conte Camillo Garulli del Duce Domenico; questo prese parte alla battaglia di Lepanto quale Comandante di una galea veneta.
La nave vi è rappresentata a vele spiegate e vi è raffigurato il nobile committente.

Il quadro è firmato Tobias Cecchinius Aquilanus pingebat MDLXXXX e reca l’antico stemma dei Garulli “di azzurro ai tre monti d’ oro, sormontati dall’aquila incatenata d’argento”.

Dell’impianto originario resta il tetto a capanna sorretto da travature lignee, l’abside in stile gotico e una leggiadra finestra ogivale dietro un baldacchino in muratura innalzato molto probabilmente nel Settecento.
Sembra viva, in questo Oratorio, l’eco di una razza di cavalieri belli e audaci che, al servizio di Dio e della civiltà, combatterono e vinsero i Turchi e, alle galee dei nemici strapparono i simboli di vittoria, per decorarne l’ara sacra del loro protettore“.

Nei prossimi giorni a Montemonaco